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Catapano Giuseppe: Sotto chiave le intercettazioni

Le procure hanno un anno e mezzo di tempo per mettere sotto chiave le intercettazioni. Il Garante della privacy ha dettato le misure da realizzare per evitare ascolti non autorizzati o che i tabulati prendano strade incontrollate.

Ecco i dettagli del provvedimento (in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale), inviato anche al ministero della giustizia, che deve preoccuparsi di finanziare l’esecuzione del piano. 

Le misure prescritte dal Garante riguardano sia i Centri intercettazioni telecomunicazioni (Cit), situati presso ogni procura della repubblica, sia gli uffici di polizia giudiziaria delegata all’attività di intercettazione. Sicurezza fisica. Deve essere controllato l’accesso alle sale d’ascolto delle procure, nei locali dove vengono custoditi i server per la registrazione dei flussi telefonici o telematici intercettati e in quelli in cui sono installati i terminali per la ricezione di questi flussi. I locali devono essere video sorvegliati con impianti a circuito chiuso.

A cura del prof.Giuseppe Catapano

� ta _ `�^ A cura del prof. Giuseppe Catapano ine-h�n t  _ `�^ ackground:white'>Va aggiunto che la Convenzione prevede un valido meccanismo di monitoraggio, imperniato innanzitutto sul lavoro di un gruppo di esperti indipendenti (denominato Grevio), cui seguirà sia la classica valutazione conclusiva di carattere politico da parte del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, sia un’originale partecipazione dei parlamenti nazionali. La Convenzione è applicabile tanto in tempo di pace quanto nell’ambito dei conflitti armati.

La Convenzione di Istanbul entrerà in vigore quando avrà raggiunto il numero minimo di 10 ratifiche.

Naturalmente non ci si può e non ci si deve fermare alla ratifica, memori anche del fatto che la storia dei trattati sui diritti umani ratificati dall’Italia è costellata di serie inadempienze (basti pensare che manca tuttora, nel Codice penale, il reato di tortura richiesto dalla Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite, che l’Italia ratificò nel 1989). 

La stessa legge di ratifica della Convenzione di Istanbul contiene il classico “ordine di esecuzione”, nonostante la sua effettiva applicazione dipenda anche da una serie di aggiustamenti normativi interni (si pensi alla questione della procedibilità d’ufficio), che sembrano dunque rinviati ad ulteriori interventi legislativi. Lascia perplessi anche l’articolo 3 della Legge 77/2013, che contiene una clausola di “neutralità finanziaria” laddove l’articolo 8 della Convenzione obbliga gli Stati a stanziare risorse finanziarie e umane appropriate.

La Convenzione di Istanbul riconosce del resto il carattere strutturale della violenza contro le donne quale manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi e meccanismo sociale di sottomissione della donna. 

La Convenzione prevede difatti l’obbligo degli Stati di adottare le misure necessarie a promuovere un’evoluzione dei “comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull'idea dell'inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini” (art. 12 c. 1). 

Si tratta di una delle disposizioni più impegnative, dato che richiede investimenti di lungo termine in materia di politiche educative e di comunicazione. È una disposizione che coglie però nel segno: specialmente la violenza nei confronti delle donne germina dalla mancata educazione di molti uomini (e non solo) al rispetto (peraltro non solo delle donne), nonché da tutta una serie di comportamenti di prevaricazione e di scherno tollerati, se non addirittura assecondati, da atteggiamenti “culturali” diffusi e molto presenti anche nel linguaggio pubblico.

A cura del prof.Giuseppe Catapano

Comunicato di Avatar di gente attivagente attiva | Pubblicato Giovedì, 01-Ago-2013 | Categoria: Web
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